Comproprietario di casa può chiedere l’affitto a chi la abita?
Un nostro lettore è comproprietario, insieme alla sorella, di un immobile che la madre ha loro intestato a titolo di donazione. Senonché, mentre la sorella è residente all’estero e non utilizza il bene, l’altro invece ne ha fatto la propria dimora. Ora ci chiede se la prima possa chiedergli il pagamento di un canone a titolo di occupazione. Il quesito è dunque il seguente: il comproprietario di casa può chiedere l’affitto a chi la abita?
Per rispondere alla questione dobbiamo partire dal riferimento normativo che si occupa appunto dell’utilizzo di beni condivisi: l’articolo 1102 del codice civile(applicabile peraltro anche in tema di condominio). Tale norma stabilisce che, quando una cosa è comune a più persone (come appunto un immobile), ciascun contitolare (detto “comunista”) può farne l’uso che vuole purché non ne alteri la destinazione e non impedisca di fare altrettanto agli altri comproprietari.
Ciò significa che, al di là della ampiezza della quota di cui dispone il singolo comunista (ad esempio il 30%), questi può legittimamente vivere nell’immobile in quanto anche suo, con l’unico limite che dovrà però tollerare l’eventuale presenza degli altri titolari del bene.
La comproprietà ha infatti proprio questa caratteristica: essa garantisce il diritto di occupare l’abitazione in tutta la sua estensione e non in una singola parte (ad esempio una stanza).
Se ciò è vero, è altresì vero che il comproprietario che abita la casa in comunione non lo fa per tolleranza degli altri contitolari ma perché ne ha pieno diritto. È la legge che glielo consente. Dunque, non è possibile chiedergli il pagamento di un canone. Sarebbe tutt’al più dovuto un risarcimento solo nel caso in cui l’occupante faccia completamente “proprio” il bene, escludendo gli altri comunisti dall’uso, ad esempio modificando le chiavi della serratura e non dando agli altri il duplicato. Ma, in un’ipotesi del genere, dopo 20 anni scatterebbe l’usucapione.
L’usucapione, come noto, rappresenta un mezzo di acquisto della proprietà altrui che necessita non già dell’atto notarile ma di una sentenza del tribunale che riconosca l’esistenza dei relativi presupposti. Nel caso del bene in comproprietà non basta l’uso indisturbato e pacifico del bene per un ventennio e un comportamento simile a quello del proprietario (comportamento che, come detto, è già “legalizzato”) ma l’esclusione degli altri dalla possibilità di godere dell’immobile. Ne abbiamo già parlato in Usucapione di beni in comproprietà: criteri e sentenze
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